Emetofobia, un nuovo percorso [ultima puntata]

E’ passato parecchio tempo dall’ultima volta che ci siamo visti. Purtroppo giornate lavorative molto intense sono l’ingrediente perfetto per far sfumare anche quel minimo di voglia necessario per sedersi al PC (magari dopo cena) e scrivere l’ultima cosa che ti passa per la testa.

Avevo promesso un ultimo post sull’argomento emetofobia ed eccolo qui.

Nella precedente puntata avevo espresso alcune delle mie intuizioni sulla fobia del vomito alla luce dell’esperienza accumulata soprattutto durante le mie meditazioni. Riassumo in poche parole: dopo diverso tempo ho compreso che il vomito era uno strumento dell’ansia. Ma che vuol dire veramente uno strumento ? Vuol dire che la fobia da vomito è solamente un burattino, un attore. E’ ciò che vediamo in superficie perché si manifesta. Il vero burattinaio però, cioè colui che muove i fili, il regista di tutto, se ne sta ben celato nel profondo della psiche. Comprendere questa cosa consente di fare il primo dei passi: spostare l’attenzione dalla fobia e chiedersi cosa vuole comunicarci.

Mi rendo conto che per molti questo discorso potrebbe sembrare al limite del filosofico. Forse lo è in una certa misura, ma se ci si libera dei pregiudizi e si consente al burattinaio di venire a galla si potrà intraprendere un percorso fino ad ora mai nemmeno ipotizzato.

Non ho certo la pretesa di dire agli altri come comportarsi. Non è il mio compito! Vi dirò cosa ho fatto io. Ho accettato di dover trascorrere del tempo in compagnia del fervore, dell’agitazione, dei brutti pensieri e di tutto quello che questo comportava. Insomma mi sono seduto sulla poltrona e mi sono goduto lo spettacolo. Ho cercato di stare con le mie emozioni sgradite senza SE e senza MA in pieno e totale ascolto. Cosa avranno di importante da dirmi ? sono disposto ad ascoltarle ? e come le sento ? si manifestano nel corpo o a livello emotivo ?

Ecco, tutto buone domande che ho cercato di rinnovare in quei momenti. Se l’ansia si manifestava nel corpo portavo la mia consapevolezza al corpo e osservavo come si evolveva. Se si manifestava a livello emotivo facevo lo stesso con l’emozione senza intralciarne il suo lavoro. Alle volte era un mix di entrambi. Certo la mente rema contro di continuo. Questo vuol dire che ho dovuto costantemente liberarmi dal tentativo di giudicare cosa stavo provando o dell’impulso di cercare una via di fuga. per tentare di calmarmi. Dopo un po’ di tempo mi resi conto che iniziai ad essere meno coinvolto da ciò mi accadeva. Era come osservare me stesso dall’esterno. Potevo sentire la paura senza essere impaurito o la tristezza senza essere triste. E’ probabilmente tutta qui l’essenza della meditazione: consentire a se stessi di provare quello che c’è senza farsi trascinare via dalla corrente.

Non fu certo una cosa così semplice come qualcuno potrebbe pensare.  Ma lentamente mi rendevo conto che la fobia del vomito perdeva forza fintanto che un giorno, alcuni mesi dopo, mi coricai a letto dopo una cena di compleanno piuttosto impegnativa e con lo stomaco ancora pieno pensai che stavo bene. Che ero contento di come era trascorsa la serata. Fu davvero un momento di grande felicità e di completezza. Compresi allora che il percorso intrapreso mi aveva aiutato ad uscire dal guado. Ma soprattutto, mi avevo permesso, davanti al disagio, di non voltarmi dall’altra parte.

Emetofobia, subito sotto la superficie [settima puntata]

Come ho scritto nell’ultimo post sull’emetofobia durante una meditazione serale una domanda inattesa (così ho intitolato il post) ha aperto una grossa crepa nel muro della paura del vomitare. Si è trattato di una domanda inattesa poiché è arrivata dall’interno senza che io me ne potessi quasi rendere conto. Era una riflessione assai semplice e al tempo stesso importante: di cosa hai paura ? La domanda mi lascio per qualche istante interdetto, sia per il modo in qui era giunta, sia perché mi pareva aver fatto breccia in qualche punto importante.

Le riflessioni e le meditazioni dei giorni successivi iniziarono a ricomporre i pezzi del puzzle che mancavano. Improvvisamente sembrava che i segreti di questa fobia si stessero sgretolando a poco a poco. Perché la fobia si manifestava in maniera importante durante la sera e la notte ? Perché avevo necessita di avere sempre una TV ad accompagnare le mie serate ?  Perché nei periodi di maggiore serenità la fobia si manifestava in maniera meno evidente ? Mi ponevo queste domande di continuo. E fu così che una sera, dopo una meditazione di una mezz’ora circa, quando il turbamento del io si era placato aggiunsi un pezzo a quella domanda: hai paura di vomitare oppure hai paura di avere paura ? Appena qualche istante dopo avevo il sorriso sul volto. Quella domanda aveva davvero accesso un faro su una situazione che durava da troppo a lungo.

Compresi cose che stavano appena sotto la superficie della fobia e che avrei potuto osservare in qualsiasi momento. Ad esempio, guardare la TV la sera serviva semplicemente a distrarsi. Il vomito non si manifesterà se c’è la TV ? Ma certo che si manifesterà SE DEVE manifestarsi. Dunque la TV era solo uno strumento per non sentire. Ma non sentire cosa ? La risposta è semplice: l’ansia, il turbamento che agisce silenzioso sotto traccia facendo breccia sui tuoi punti deboli. E il mio punto debole era (ed è il vomito).

Passiamo all notte: oltre ad essere il momento in cui sospendiamo qualsiasi attività per riposare è anche il momento in cui si fanno i conti con le cose che non si vogliono vedere durante il giorno. Forse è più giusto dire che si ha facoltà di non vedere. Gli impegni quotidiani infatti sono un ottimo strumento per tenere la mente altrove. Ma quando ti fermi tutto ciò che hai evitato si farà sentire arrivando alla tua cosienza. E qui inizia la giostra della sofferenza: sospinti dall’ansia alcuni evitano, altri si distraggono, altri controllano. O forse affogano in tutte e tre le cose assieme.

Ciò che compresi alle fine dopo lungo tempo è quindi sintetizzabile così: il vomito è lo strumento di cui la mia ansia si serve per farsi sentire. Niente di più niente di meno. Quando ho deciso di concedere udienza alla mia ansia il problema ha iniziato a ridimensionarsi fino a diventare quasi imprecettibile.

Il prossimo sarà l’ultimo su questo tema.

A presto.

Emetofobia, una domanda inattesa [sesta puntata]

La meditazione di consapevolezza è diventata per me uno stile di vita che seguo con alti e bassi da molti anni. Non avevo proprio idea di quale cose avrei potuto imparare da essa quando iniziai a praticare ma di certo non mi aspettavo che sarebbe diventato lo strumento fondamentale per affrontare questa paura.

Durante i primi periodi di meditazione mi ero spesso posto la domanda del perché di questa fobia senza cercare di dare una risposta. Lasciavo che questa domanda agisse come un seme ed una sera durante una seduta in maniera improvvisa e non controllata è emersa una domanda, LA domanda: di cosa hai paura ? Provai una sensazione strana perché non mi sembrava frutto di un mio pensiero cosciente e non riuscivo a dare alcuna risposta. Rimasi perplesso.

Alcuni giorni dopo passai il pomeriggio con lo stomaco alle prese con un pasto di difficile digestione – facile immaginare come l’avvicinarsi della sera non facesse altro che aumentare l’asticella dell’ansia. Non cenai e mi misi a guardare la TV nel tentativo di mitigare gli effetti dell’ansia. Alcune ore dopo la situazione però non era migliorata (anzi) e pensai di usare quello che stava provando come oggetto di meditazione cercando per quanto possibile di rimanere con la paura. Avvenne l’inaspettato – dopo qualche minuto mi accorsi che era rimasta la paura ma non era più presente il motivo. Quasi non capivo il perché del mio turbamento – dovetti fare uno sforzo cosciente per ricordarlo. La domanda di qualche giorno prima assunse a quel punto un certo senso – di cosa hai paura ?

Provai quindi a fare una cosa che non avrei mai fatto prima – spegnere la TV. Rimasi nel buio consapevole del turbamento senza cercare di placarlo – il pensiero del vomito sparì completamente nel giro di qualche minuti e li mi feci la domanda più importante: ho paura di vomitare oppure ho paura di avere paura ? Dopo questa domanda l’ansia iniziò a calare.

Fu un percorso lungo per arrivare fino ad oggi dove la fobia è (quasi) completamente sparita. Un percorso in cui compresi molte cose. Nel prossimo post – probabilmente l’ultimo dedicato all’emetofobia – racconterò proprio di questo.

Emetofobia, il senzo di frustrazione [quinta puntata]

Cambia poco che il tuo problema sia il vomito, piuttosto che la paura dei germi e batteri oppure temere il fatto di stare in mezzo alla gente. Dopo un po’ di tempo, quando il tuo stato d’ansia diventa persistente, inizi a provare una grossa frustrazione che a sua volta può condizionare il tuo umore. Puoi sentirti depresso, inerme e sopraffatto ed iniziare a pensare che qualcosa in te sia sbagliato.

Per molto tempo ho provato un po’ tutte queste situazioni, soprattutto quando uscendo con gli amici mi rendevo conto di aver a che fare con situazioni che mi causavano sofferenza mentre le persone vicino a me conducevano una vita piena. Lentamente la vita diventava stretta e soffocante. La soluzione a tutto questo sarebbe stato affrontare la situazione. Permettere alla paura di dire la propria, scoprire che magari aveva qualcosa di importante da dire. Però ogni volta che mi trovavo sul punto di prendere questa decisione alla fine mi fermavo e continuavo a lasciare che questa situazione dominasse buona parte della mia vita.

Una volta ho letto che nella stragrande maggioranza dei casi le persone affette da emetofobia non si rivolgono ad una persona in grado di aiutarle perché inconsciamente sanno che questo vorrà dire affrontare il demone. Trovo che questo sia assolutamente veritiero, o almeno per me così è stato.

Un saluto e al prossimo post

Emetofobia, parentesi farmacologica [quarta puntata]

C’è stato un periodo – brevissimo a dire il vero – nella quale ho fatto ricorso ai cosiddetti farmaci antiemetici, cioè quella tipologia di farmaci che aiutano a controllare la nausea e bloccano il vomito. Penso che sia abbastanza comunque tra gli individui affetti da detta fobia.

Non c’è naturalmente nulla di male ad utilizzare questi farmaci se si è malati o si rientra in una della casistiche per la quale sono stati inventati. Qualche problema invece c’è se si li utilizza per fini differenti. Come è facile comprendere l’idea di usare un farmaco è molto allettante ma onestamente è anche una immensa idiozia. Bisogna essere onesti con se stessi ed esserlo fino in fondo: il problema non è nel proprio stomaco che invece svolge (nel migliore dei modi) il suo delicato lavoro. Il problema sta sopra: nella testa. Se c’è qualcosa che va curato, che va osservato è proprio li.

Per fortuna si è trattata di una parentesi brevissima – qualche settimana appena – giusto il tempo di capire che la cosa non poteva in alcun modo funzionare.

Al prossimo post.