E’ un soleggiato venerdì pomeriggio di qualche tempo fa! Un giornata perfetta per fare una passeggiata rilassante fino a lavoro. Mi metto quindi in marcia e 40 minuti dopo arrivo in ufficio. Appena varco il ciglio della porta mi fermo per riflettere su di un pensiero che mi a colpito come una forma di annunciazione – ho percorso tutto il tragitto pensando a ciò che era accaduto durante la mattina e a quello che dovevo fare nel pomeriggio, a come rivoluzionare il layout dell’acquario, a quali cose fare nel fine settimana e alle attività lavorative che mi aspettavano la settimana successiva.
In parole povere, travolto completamente dai pensieri, ho perso un importante occasione nonchè l’unica cosa da fare: godermi quella passeggiata della quale a quel punto non mi era rimasto nulla. Insomma sono stato catturato per tutto il tempo da altro. Presa coscienza della cosa devo ammettere di aver provato una leggera rabbia assieme ad un senso di frustrazione.
Per questo motivo mi sono avvicinato alla Mindfulness. Ma prima di andare avanti vale la pena mettere in evidenza quali sono probabilmente i motivi che hanno spinto il suo inventore, Jon Kabat-Zinn, a sviluppare tale tecnica. Nell’ 1989 diceva:
I livelli di stress delle persone oggi, confrontati con quelli di vent’anni fa, sono semplicemente incredibili. Oltre alle tradizionali fonti di stress (lavoro, persone, malattie, ruoli da ricoprire, eventi del mondo etc.), con l’era digitale abbiamo introdotto fonti di stress interamente nuove nella nostra vita: lo stress dell’information processing e della velocità a cui fa viaggiare le cose. E abbiamo reso sempre più sfumata la distinzione fra la vita lavorativa e quella domestica, fra la settimana lavorativa e il weekend, fra il giorno lavorativo e la notte. Si può quindi arrivare al punto in cui si è sempre al telefono, sempre a leggere e inviare e-mail, il punto in cui stai sempre reagendo a qualche stimolo e tutto il tempo è dedicato al fare e non all’essere. Il punto in cui siamo sempre di corsa e diventiamo isolati, non solo rispetto agli altri, ma anche rispetto a noi stessi, alla dimensione corporea.
La Mindfulness, che deriva dalla pratica meditativa vipassana, è un tecnica ideata per coltivare la consapevolezza. Ma consapevolezza in cosa ? Consapevolezza nei confronti dei propri pensieri, dei propri stati d’animo, delle proprie azioni, di ciò che avviene a livello corporeo. Consapevolezza nei confronti della propria esperienza presente. E’ quindi una forma di osservazione di ciò che accade momento dopo momento. Ma l’elemento chiave è che questo osservare ciò che accade deve essere spogliato di qualsiasi giudizio o intento di analisi. In questo momento provo rabbia, non voglio analizzare il motivo.
Ho parlato di tecnica poichè è ufficialmente inserita come strumento terapeutico per il trattamento di molti disturbi, soprattutto psichici. Io personalmente però sono stato attratto pensando alla Mindfulness come un vero e proprio stile di vita.
Nella vita di tutti i giorni, la nostra mente è vittima della pressione lavorativa, dalle dinamiche familiari, delle aspettative e dei progetti, del peso che diamo ai problemi; per non parlare di quando siamo preda delle nostre emozioni e della rapidità con la quale le cataloghiamo come negative e cerchiamo di rimandarle da dove sono venute. Scacciare con la forza di volonta il chiacchiericcio mentale è inutile oltre che probabilmente impossibile. Quello che la Mindfulness e tutte le forme di meditazione insegnano è come evitare di correre dietro ai propri pensieri, di ragionarci sopra e come evitare di guardare la propria realtà attraverso quei pensieri che sono molto spesso pieni di fantasie e di premonizioni bizzarre e catastrofiche sul futuro. Quindi insegnano a tornare al presente, insegnano a stare nel presente.
Si può iniziare osservandosi mentre si svolgono le normali attività quotidiane portando l’attenzione sui gesti che si compiono e mano a mano che si avanza cercare di espandere la consapevolezza verso tutto ciò che questo comporta o suscita a livello emozionale e corporeo. Quando si perde l’attenzione la cosa migliore da fare e prenderne atto quindi senza fretta e senza dirsi nulla tornare all’osservazione. Lo stesso discorso vale quando un pensiero si manifesta – lo si guarda arrivare e lo si lascia andare via; se provoca una emozione, bella o brutta che sia, la si osserva sempre in maniera non giudicante.
Inizialmente può risultare difficile per non dire frustrante ma con la pazienza e la perseveranza si migliora: diventa via via più facile. Come dice lo Zen, stare nelle cose così come sono rinunciando alle spiegazioni è il miglior modo di vivere la propria vita. E’ un passo importante verso la felicità.
Chiudo con un famoso aforisma di John Lennon che per questo post è azzecato:
La vita è ciò che ti accade quando sei tutto intento a fare altri piani.
Al prossimo post!