Saigon e così sia

Oriana Fallaci è di certo uno dei nomi più noti e celebri del giornalismo italiano. La sua grande fama è il risultato dei reportage scritti al fronte ed anche alla importanti interviste fatte a personaggi politici e non. Ma a mio avviso c’è anche un’altro grande motivo che l’ha resa così celebre: il fatto di aver raccontato importanti pezzi di storia esattamente così come si svolsero senza alcuna forma di censura.

E proprio ad Oriana Fallacci è dedicato il post di oggi. Ho finito recentemente di leggere il suo ultimo libro – Saigon e così sia – un’opera pubblicata solo dopo la morte della giornalista, che racconta e raccoglie una serie di importanti articoli e interviste che la Fallaci scrisse durante la guerra del Vietnam.

Il libro inizia con l’arrivo della giornalista ad Hanoi, l’odierna capitale vietnamita e da subito ci racconta della tragica situazione in cui versa. Una città grigia, senza i rumori tipici che contraddistinguono un qualsiasi borgo vivo, con moltissimi edifici decadenti, affollati e sporchi. Insomma la prima parte dedica ampio spazio al racconto di come Hanoi e la sua popolazione vivano il periodo della guerra assieme a tutte le limitazioni imposte dal regime comunista. Limitazioni che naturalmente la toccano ben da vicino come lei stessa racconta: non ho ancora avuto il permesso di visitare Hanoi, sono affidata a due guardiane che non mi lasciano mai, mi sembra di esser Pinocchio fra il Gatto e la Volpe.  Durante la sua permanenza nel Nord del Vietnam intervistò il generale dell’Esercito Popolare Vietnamita Giap ed ebbe un colloquio con due prigionieri americani.

La seconda parte del libro invece è dedicata allo spostamento della guerra sul territorio cambogiano che fu operata degli Stati Uniti verso la fine degli anni ’60, per limitare i rifornimenti ai vietcong. Sebbene inizialmente la Cambogia abbia mantenuto un profilo imparziale per salvaguardare i buoni rapporti sia con Stati Uniti e sia con il Vietnam, il colonnello Lon Nol orchestrò un colpo di stato e cambiò la politica del Paese assumendo posizioni fortemente anti-vietnamite. Le testimonianze raccolte dalla Fallaci in questa fase lasciano intravvedere i primi segni di fallimento della politica americana che preludono la  successiva sconfitta.

L’ultima parte del libro è naturalmente ambientata nel sud del Vietnam, in una Saigon che dopo il trattato di pace firmato dagli Stati Uniti, è rimasta sola. E qui la scrittrice ci fa capire che in fondo questa guerra è stata, da qualsiasi posizione la si guardi, una immensa carneficina; ma mentre il Nord del Vietnam ha vissuto un conflitto che aveva come fine ultimo la riunificazione del Paese, il sud si è trasformato nella chiave con la quale la superpotenza statunitense ha soddisfatto i propri interessi.

Un’opera davvero notevole, che ripercorre gli avvenimenti di una delle guerre più sanguinarie del 900.

Il codice dell’anima

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In un post di qualche mese fa avevo parlato di una della più importanti opere di James Hilmann: la forza del carattere. Con il post di oggi voglio parlare dell’altro grande Bestseller di questo famoso psicoanalista: il codice dell’anima.

Il sottotitolo dell’opera, codice – vocazione – destino, è piuttosto significativo ma già a partire dalle primissime righe si intuisce quale sarà l’argomento predominante del libro. Eccone un breve estratto:

Tutti, presto o tardi, abbiamo avuto la sensazione che qualcosa ci chiamasse a percorrere una certa strada. Alcuni di noi questo lo ricordano come un momento preciso dell’infanzia, quando un bisogno pressante e improvviso, una fascinazione, un curioso insieme di circostanze, ci ha colpiti con la forza di un’annunciazione: ecco quello che devo fare, ecco quello che devo avere, ecco chi sono!

Attraverso il mito platonico di Er, Hillmann sostiene che noi tutti veniamo al mondo con un compagno segreto, il daimon o demone, un’entità nascosta nel profondo di ognuno di noi. Il compito del daimon è di guidarci durante il nostro cammino terreno, e attraverso le sue sollecitazioni, portare a termine la nostra missione, cioè realizzare le nostre qualità, i nostri talenti. Attenzione però, dice lo scrittore, contrastare o ignorare i messaggi che il daimon ci manda, porta inevitabilmente ad ammalarsi. Questa teoria è il filo conduttore della sofferenza psicologica che accomuna gran parte della società odierna.

Hillmann dedica un’ampia parte del libro alla figura del bambino e del periodo dell’infanzia. Rispetto alla psicologia odierna la sua visione è decisamente anticonformista. Ossessioni e comportamenti anomali nei bambini, vanno prima di tutto osservati poiché potrebbero nascondere segni del daimon, indizzi utili ad indicare la strada da percorrere; insomma segni del destino. E sono centinaia gli esempi più significativi citati nel libro: da Woody Allen a Quentin Tarantino passando per Nixon e per la psicopatia di Hitler.

Dall’infanzia fino ai genitori, anche la figura della famiglia viene chiamata in causa. Il capitolo centrale, la superstizione parentale, è stato uno dei miei preferiti; muove critiche precise ed a mio avviso fondate rispetto al ruolo sempre più monolitico della famiglia.

Sono molteplici le tematiche trattate, tutto interessanti ed attuali; ma probabilmente il messaggio più importante che emerge da quest’opera è che la nostra società sta eliminando gradualmente dalla vita la fantasia, l’immaginazione, il talento per far spazio alla sola razionalità; in una intervista, qualche tempo dopo la pubblicazione del libro, disse: oggi come oggi la felicità è diventata solo la conseguenza di ciò che si fa e non una condizione naturale – come dargli torto.

Trattare in un solo post il contenuto di quest’opera è una impresa impossibile, per questo motivo consiglio caldamente di leggerlo.

Come la volta scorso, vi lascio con un breve citazione tratta dal libro:

Io sono il mestiere che faccio e se faccio un mestiere mediocre, come tagliare bistecche in un supermercato, quello non è avere una vocazione. Il carattere non è quello che faccio, ma il modo come lo faccio.

La forza del carattere

La forza del carattere, è questo il titolo del libro che ho finito di leggere recentemente. E’, assieme a Il codice dell’anima, al quale dedicherò un post più avanti, uno dei due saggi più famosi dello scomparso James Hillman, psicologo e psicoanalista di fama mondiale.

Scritto con stile leggero, talvolta arcaico, rovescia attraverso i miti e la psicologia gli stereotipi che la società odierna ha appiccicato ai termini vecchiaia ed invecchiamento – come la stessa sintesi del libro dice invecchiare, non un mero processo fisiologico, ma una vera forma d’arte in cui il carattere gioca un ruolo di primo piano. A mio avviso è un libro quanto mai attuale.

Insomma, ogni fase della vita dispone di qualità ben precise che svolgono la loro funzione in quella precisa fase e non in altre. E questo vale anche per la vecchiaia. Da giovani ad esempio abbiamo un’ottima memoria a breve termine ed una pessima a lungo termine. Ma mano a mano che si invecchia la situazione si rovescia. Quindi si perde qualcosa e se ne guadagna un’altra.

Per rinforzare il valore della vecchiaia, Hillman tratta anche l’invecchiamento dei nostri oggetti portatori molto spesso di immagini e ricordi. E devo dire che in questo senso sono sempre stato della stessa idea. Basti bensare ad esempio all’acquario, oggetto a me tanto caro, che offre le migliori condizioni di vita man mano che matura cioè che invecchia. Riflettendo attentamente ho pensato che anche le macchine, cioè le autovetture che usiamo tutti i giorni, passano attraverso questo paradigma: man mano che invecchiano ne conosciamo limiti, pregi, difetti. Quindi su strada sanno darci il meglio. Ah naturalmente, è d’obbligo ricordare anche che consumano di meno.

Insomma l’autore esordisce domandanosi al di là di tutto a cosa serve invecchiare, e nel corso del libro, che consiglio di leggere, ne da una ampia spiegazione.

Concludo il post con un bel pensiero tratto dal libro:

L’etica non è qualcosa che si inietta nel carattere per vaccinarlo contro il peccato e aumentare la sua immunita alle tentazioni. Una moralità così concepita non è altro che un pacchetto di beni comperato dalla volontà e praticato come una abitudine. Neppure l’abitudine alle abitudini ci può salvare dai tratti sgradevoli del carattere. La rimozione dell’indesiderabile funziona solo fino a un certo punto e per un tempo determinato; dopodiche il rimosso ritorna, più forte di prima.

Ciao a tutti e al prossimo post !