Il codice dell’anima

In un post di qualche mese fa avevo parlato di una della più importanti opere di James Hilmann: la forza del carattere. Con il post di oggi voglio parlare dell’altro grande Bestseller di questo famoso psicoanalista: il codice dell’anima.

Il sottotitolo dell’opera, codice – vocazione – destino, è piuttosto significativo ma già a partire dalle primissime righe si intuisce quale sarà l’argomento predominante del libro. Eccone un breve estratto:

Tutti, presto o tardi, abbiamo avuto la sensazione che qualcosa ci chiamasse a percorrere una certa strada. Alcuni di noi questo lo ricordano come un momento preciso dell’infanzia, quando un bisogno pressante e improvviso, una fascinazione, un curioso insieme di circostanze, ci ha colpiti con la forza di un’annunciazione: ecco quello che devo fare, ecco quello che devo avere, ecco chi sono!

Attraverso il mito platonico di Er, Hillmann sostiene che noi tutti veniamo al mondo con un compagno segreto, il daimon o demone, un’entità nascosta nel profondo di ognuno di noi. Il compito del daimon è di guidarci durante il nostro cammino terreno, e attraverso le sue sollecitazioni, portare a termine la nostra missione, cioè realizzare le nostre qualità, i nostri talenti. Attenzione però, dice lo scrittore, contrastare o ignorare i messaggi che il daimon ci manda, porta inevitabilmente ad ammalarsi. Questa teoria è il filo conduttore della sofferenza psicologica che accomuna gran parte della società odierna.

Hillmann dedica un’ampia parte del libro alla figura del bambino e del periodo dell’infanzia. Rispetto alla psicologia odierna la sua visione è decisamente anticonformista. Ossessioni e comportamenti anomali nei bambini, vanno prima di tutto osservati poiché potrebbero nascondere segni del daimon, indizzi utili ad indicare la strada da percorrere; insomma segni del destino. E sono centinaia gli esempi più significativi citati nel libro: da Woody Allen a Quentin Tarantino passando per Nixon e per la psicopatia di Hitler.

Dall’infanzia fino ai genitori, anche la figura della famiglia viene chiamata in causa. Il capitolo centrale, la superstizione parentale, è stato uno dei miei preferiti; muove critiche precise ed a mio avviso fondate rispetto al ruolo sempre più monolitico della famiglia.

Sono molteplici le tematiche trattate, tutto interessanti ed attuali; ma probabilmente il messaggio più importante che emerge da quest’opera è che la nostra società sta eliminando gradualmente dalla vita la fantasia, l’immaginazione, il talento per far spazio alla sola razionalità; in una intervista, qualche tempo dopo la pubblicazione del libro, disse: oggi come oggi la felicità è diventata solo la conseguenza di ciò che si fa e non una condizione naturale – come dargli torto.

Trattare in un solo post il contenuto di quest’opera è una impresa impossibile, per questo motivo consiglio caldamente di leggerlo.

Come la volta scorso, vi lascio con un breve citazione tratta dal libro:

Io sono il mestiere che faccio e se faccio un mestiere mediocre, come tagliare bistecche in un supermercato, quello non è avere una vocazione. Il carattere non è quello che faccio, ma il modo come lo faccio.

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